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IL FILO ARANCIONE - seconda raccolta - "Una Vibratile Presenza"

by L'aquila Signorina

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1.
2.
[...] Avevamo solo il test sul DDT da mandare avanti e un’insolita quantità di tempo per occuparci di problemi più generali. Dato che tra gli obiettivi del centro c’era la prevenzione primaria del cancro, mi chiesi se esistesse, da qualche parte, un elenco delle sostanze fortemente imputate di provocarlo. Non c’era nulla del genere.
3.
[...] Lavoravamo al microscopio da dissezione, con una luce balorda e delle pinzette poco adatte. Cercavo di trovare delle scuse e me la prendevo con gli strumenti. Verso le due gettai la spugna e me ne andai a mangiare. Ero così scocciato che rientrai passando direttamente nel mio studio. Non potei fare a meno di pensare che a leggere la descrizione del metodo in certa pubblicistica sembrava tutto elementare e invece poi, a metterlo in pratica, si scopriva che in tutta quella facilità era nascosto il trabocchetto; il dettaglio che l’autore aveva omesso per distrazione o di proposito. Alle tre, Marguerite venne a chiamarmi. Sotto al microscopio, nel vetrino d’orologio, un ago era infilato di precisione tra ovaio e fascia ovarica, penetrando direttamente nella salpinge. Aveva continuato a provare e c’era riuscita. «Bravissima ! Sei stata bravissima», le dissi.
4.
[...] Rapido come un falco, imbattibile nell’aggirare le difficoltà o nello smuovere un momento di inerzia del gruppo di lavoro, Spencer si era nuovamente rivelato, come previsto da Claus, il migliore tra i chairman possibili. Era merito suo se, fino a quel momento, avevamo potuto procedere bene e relativamente in fretta. Ma quando si trattò di mettere nero su bianco delle soglie di esposizione, di porre ufficialmente le basi per individuare possibili responsabilità, beh, in quel momento Spencer fece muro. Rigirò la questione e convinse la maggioranza a non emettere un giudizio sulle sostanze prese in esame. «Dobbiamo essere obiettivi, limitarci a riassumere in modo conciso e preciso i dati a nostra disposizione. Che nell’uomo sono insufficienti». «E la valutazione di rischio ?», gli fece Bruno. «Non la possiamo fare», disse Spencer, lapidario.
5.
[...] Al culmine dell’incontro, avevamo potuto ascoltare la relazione di Porter. Il delegato USA gli aveva ceduto il posto perché illustrasse la crociata del presidente Nixon. Provavo simpatia per lui, ma vederlo sulla scena e sentire dell’enorme fardello che gli pesava sulle spalle mi mise tristezza. Gentile, attento; pronto ad ascoltare qualunque richiesta sensata, una memoria prodigiosa; sempre proteso in avanti, proiettato verso il futuro. Letteralmente in orbita a una velocità sconosciuta. Lo schema che ci descrisse sembrò lievitare fino ad altezze vertiginose e, sotto l’urto di milioni e milioni di dollari, vedemmo crollare l’uno dopo l’altro, una diapositiva dopo l’altra, ogni record di bilancio. Porter era un gigante di fronte ai pigmei. L’istituzionalizzazione del cancro, il discutere del problema con criteri oggettivi, lunari, il porre tutto in cifre: quanti malati oggi, quanti tra cinque anni, durata di sopravvivenza, costo giornaliero e per singolo malato. Porter aveva parlato con fermezza del 1975 come dell’anno 2000.
6.
[...] Al nostro primo incontro, Nuñez mi aveva aggredito bruscamente «Anche lei fa parte della cricca internazionale del cancro?». Fui squadrato da capo a piedi. «Potremmo discuterne, se vuole, ma a me piace mettere subito le cose in chiaro». Sapendo bene di queste diffidenze, quando arrivarono da Ginevra i colleghi della casa madre dell’OMS, mi premurai di anticipargli come avrei messo giù il discorso con il comitato. «In sostanza, per il DDT, l’evidenza circostanziale non esclude un rischio cancerogeno per l’uomo, ma indica anche che probabilmente è basso o molto inferiore ai benefici che derivano dal suo utilizzo». Quando alzai la testa dalle mie tabelle, li vidi che cambiavano colore e cominciò la sarabanda. Presero ad attaccarmi quasi all’unisono, con sempre maggiore rudezza
7.
[...] La critica che noi facevamo era al modo unilaterale con cui l’approccio aziendalista e farmacologico, ormai ubiquitario, affrontava il tema della prevenzione del cancro. Diagnosi precoce, cura tempestiva, guarigione. Una formula fondata su dogmi mai dimostrati, come quello che un giovane tumore asintomatico avesse in ogni caso una prognosi più favorevole di un tumore i cui sintomi erano già manifesti. Il mondo scientifico mi appariva simile a quello delle forze armate. La tendenza, in ambedue i campi, era di assorbirli più strettamente al servizio di interessi particolari. L’esercito trasformarlo in esercito professionale e la scienza in una società chiusa, a obiettivi limitati
8.
[...] «Se sei su un treno che corre all’impazzata», mi disse Presti «non ha molto senso pensare che la salvezza stia nel buttarti dal treno, né che, una volta saltato giù, potrai fermarlo a braccia nude. Devi cercare di azionare i freni, devi cercare di rallentarne la marcia e finalmente, arrestarla. Va fatto, perché il tempo che rimane è scarso. Chi pensa di intavolare trattative, che vuole fare il punto e sottilizzare prima di azionare i freni, probabilmente pensa, con tragico errore, di essere su un treno diverso. Un errore altrettanto inutile e ancora più dannoso di quello di volersi gettare giù». «E chi è, secondo te, che potrebbe azionare i freni?», gli domandai. «Non certo i governi o i politici, che non hanno la forza e non hanno la competenza. Gli unici che possono farlo sono gli industriali, l’intellighenzia manageriale. Non mi illudo sul loro spirito altruista, ma ho più fiducia nella loro abitudine alla programmazione e alla pianificazione a lungo termine, che nella miopia dei politici». «Ma che senso ha riporre fiducia per la salvezza proprio in coloro che hanno portato la situazione allo stato disperato di oggi ?», cercai di obiettare.
9.
[...] Uno dei problemi delle proteine dal petrolio era che potevano contenere dei residui che tanto innocui, forse, non erano. Risposta: prima di tutto, dissero, di questi residui ce n’erano pochi e la maggior parte erano inerti e, del resto – e qui sembrarono spazientiti, profondamente irritati – di residui se ne potevano trovare dappertutto. Ce n’erano nel pane, nel caffè, nel riso … Si voleva dire che TUTTO era tossico ? Si voleva bandire tutto quello che si mangia ? Il loro metodo non cambiava, ed era quello di confondere le carte in tavola e alzare il rumore di fondo. Nel caso specifico ridurre tutto, il normale e il patologico, allo stesso livello di incredibilità.
10.
[...] «Se ti ho seguito, Dick, il prossimo anno si terrà la fase finale del campionato mondiale di calcio e subito ci sarebbe il congresso internazionale del cancro. Cose di cui Videla ha bisogno, per certificare la stabilità della sua Giunta. Quindi se l’alternativa a un fascismo è solo un fascismo peggiore, l’alternativa al congresso sul cancro sarebbe …? Regge l’analogia? E’ davvero il male minore Dick? Vediamo: e se non si facesse ? «Vi dico che è utile. La gente così si può incontrare. E’ importante, soprattutto in quei paesi lì, che sono in via di sviluppo». L’Argentina? In via di sviluppo!? La geopolitica non era il piatto forte del direttore. Dopo l’accoglienza all’aeroporto, con passaggio ultrarapido della frontiera e sosta nella saletta d’onore, un piacevole pranzo da semisonnambulo con due amici e il breve sonno ristoratore, ci fu la prima riunione coi membri del comitato organizzatore. Fuori di lì c’era questa città immensa, che avevo attraversato di furia; gli sterminati sobborghi poveri e il centro, con le case signorili, il fiume, le strade ampie come piazze. Leggendo il nome italiano e notando in me uno strano disagio, uno dei camerieri che servivano le colazioni mi aveva bisbigliato: «La situazione è più calma, ma non c’è famiglia che non conti un desaparecido».
11.
[...] Nelle settimane successive, facendo la spola da Lione, mi recai più volte a Torino, per un processo. Il tribunale aveva l’aria abbandonata che hanno di solito le scuole, o le caserme o i vecchi ospedali. L’aula dove si svolgeva il dibattimento era piccola e sciatta. I giudici e gli avvocati indossavano la toga e la televisione aveva installato le sue luci e le sue telecamere. I testimoni stavano in un corridoietto cieco, dove c’era un divanuccio slambrecciato, ma dalla porta aperta si potevano udire abbastanza chiaramente brani dell’interrogatorio. Per primo depose un operaio che era stato operato due volte di cancro alla vescica, uno dei pochi sopravvissuti. «Purché non mi inceppi», diceva prima di essere chiamato. «E’ il 1977, sono cinque anni che aspetto. Questo è il momento. Voglio poter dire tutto». Parlò bene e chiaro, un resoconto spietato e allucinante delle condizioni di lavoro in quella che ormai era nota come ‘la fabbrica del cancro’, dove gli operai erano letteralmente immersi nella benzidina e nella beta-naftilammina; dove se un operaio stava male o pisciava sangue gli si diceva che era cosa da niente e che non facesse storie. Dove erano morti a decine, prima che si potesse smuovere l’omertà fra proprietà, direzione e medici aziendali.
12.
[...] La mattina seguente avevo l’appuntamento alla direzione sanitaria di una fabbrica che produceva il policloruro di vinile. Il medico, un signore molto compito, ci accolse con grande entusiasmo. Aveva gli occhi chiari e miti, con un piccolo tic che glieli faceva strizzare. Era molto fiero della fabbrica dove lavorava, della sua efficienza e produttività. Era anche al corrente della nocività del cloruro di vinile, ma era ovvio che la vedeva come un male necessario che a lui spettava solo di minimizzare. «Quando ho cominciato a lavorare in questa fabbrica», ci disse con un sorriso cordiale «ricordo che il direttore fece portare un gran vaso di vetro e lo fece mettere al centro del tavolo. Il vaso era pieno fin quasi all’orlo di un certo liquido e il direttore ci disse che era cloruro di vinile. Quando terminò di spiegarci il sistema di produzione, era passata forse un’oretta e di liquido, nel vaso, non ce n’era quasi più. Evaporato ! Vedete ? Vent’anni fa era così, non se ne sapeva niente, tutti credevano che fosse innocuo». Ci mostrò alcune fotografie di casi di degenerazione ossea, che lui aveva osservato. Avevano avuto anche due casi di angiosarcoma epatico tra gli operai, uno dei quali era ancora in vita. «E’ venuto ancora ieri a trovarmi, con la sua motoretta».
13.
[...] La sfilata degli incidenti passò via liscia, come se si parlasse, come appunto si parlava, di faccende che riguardano gli altri. Gli epidemiologi si trovarono completamente a loro agio di fronte a una situazione che appariva ormai stabilizzata. Gli 'esperimenti umani' erano cominciati da un bel pezzo e loro avevano tutto il tempo di sedersi e pianificare una serie di osservazioni da condurre in futuro, osservazioni che non avrebbero potuto che confermare quelle ottenute sperimentalmente, alcune già vent’anni prima, altre recentemente. Ci avrebbero detto che la diossina era pericolosa; che faceva venire un sacco di malanni e avrebbero scoperto, forse, che faceva anche venire il cancro. E ancora una volta si sarebbe ripetuto il trionfo della prevenzione a posteriori; sarebbe stata, ancora una volta, la vittoria di quell'epidemiologia che Giulio definiva “da pompe funebri”.
14.
[...] Favorire invece l’epidemiologia, ossia pretendere, prima di mettere delle limitazioni, la conferma dei dati sperimentali sull’uomo, aveva spesso l’effetto, gradito a molti, di ritardare il momento in cui i prodotti incriminati, generatori di profitti e di imposte, sarebbero stati banditi. Ciò anche per il mal uso che sovente si faceva dell’ epidemiologia. Troppi epidemiologi tendevano infatti ad applicare in modo rigido i criteri da loro adottati per stabilire un nesso di causalità. Si proteggevano dall’errore di creare dei falsi positivi, ma perpetuando troppi falsi negativi, un errore che, dal punto di vista della salute pubblica era più grave dell’altro. Ma pur con tutti i suoi innegabili vantaggi, nemmeno l’epidemiologia veniva risparmiata dall’inasprirsi del clima intorno alla prevenzione primaria. Gli attacchi cominciavano a rivolgersi anche contro i dati umani. Parevano, questi, così sicuri e inoppugnabili da non aver bisogno di essere difesi. E invece …
15.
[...] Il giorno successivo, il gruppo di lavoro con Dolfi s’era avviato da pochi minuti quando nella sala riunioni arrivò la notizia della morte di Moro. La voce passava rapidamente da uno all’altro, si facevano domande brevi su come e quando fosse stato ritrovato il corpo. Nessun commento. Si decise di tenere la riunione ugualmente. Seduti attorno al tavolo, si cominciò in modo fiacco. La notizia era caduta su tutti come una mazzata. Poi la sala cominciò a riempirsi di fumo di sigaretta e la discussione si animò un poco. Ma nessuno alzò la voce, nessuno parlò a lungo. Sulla parete che avevo di fronte c’era un manifesto con l’immagine di Che Guevara, che, in quel pomeriggio, non sapevo bene se apparisse profetico o già sorpassato. All’uscita, mi scontrai con un corteo irto di bandiere bianche e bandiere rosse; un corteo ordinato e cupo, dal quale si levavano di tanto in tanto delle grida senza seguito.
16.
[...] Oltre a causarmi qualche senso di colpa, la discussione con Gaspard mi aveva messo a disagio. Il dubbio che, mentre correvo affannato dietro ai grossi obiettivi della politica della ricerca, si stesse sgretolando alla base la credibilità del lavoro che amministravo, mi faceva traballare. Ma forse, provai a dire a me stesso, ero soltanto stanco, portato a esagerare quello che, forse, in altri momenti avrei saputo vedere con meno pessimismo. Venne così la visita di Moulder, un ricercatore di valore, che dirigeva un laboratorio di genetica molto buono, dove si faceva della ricerca pulita e di ottimo livello. Cordiale e disteso, ci raccontò che cosa stesse facendo. Parlava con chiarezza, era modesto e semplice e ci snocciolò pianamente una serie di esperimenti di primissimo livello. Lo guardai provando un’intensa, anche se benevola, invidia. Lui sì che aveva seguito la strada giusta, aveva degli interessi concreti, aveva lottato per costruirsi un suo laboratorio, si era fatto dei buoni collaboratori e riusciva a lavorare bene.
17.
«Non si tratta di sposare un’ipotesi, ma di scartarne una che è assurda. E questo è un metodo scientificamente valido». «Quale sarebbe l’ipotesi assurda ?», gli chiesi. «Voler sostenere, come fai tu, che un certo modo di interpretare i rapporti fra scienza e società, che si era espanso nella decade precedente, non si sia sgonfiato sul finire di questi ultimi dieci anni. Il non voler riconoscere che la lotta contro il cancro non va combattuta alla stregua di una lotta sindacale, che la maggior proporzione dei casi di cancro probabilmente ha poco a che fare con l’industrializzazione, che la ricerca si è lasciata penetrare dalla politica al punto che si è voluto vedere il cancro come una malattia imposta dai padroni agli operai. E, infine, che per avere appuntato troppa attenzione sui cancri da lavoro la ricerca ne ha sofferto. Non so se siamo realmente all’alba di una nuova era, ma è certo che un’epoca è finita. Tu sembri ancora credere che si stia combattendo una lotta, mentre è la ricerca scientifica che dobbiamo fare».

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IL FILO ARANCIONE - UNA VIBRATILE PRESENZA è il secondo dei tre album di registrazioni audio basate sul nostro lavoro di riduzione e montaggio critico di sei romanzi di Lorenzo Tomatis (Sassoferrato, 1929 - Lione, 2007):

"Il Laboratorio" (Einaudi, 1965 - Sellerio, 1993);
"La ricerca illimitata" (Feltrinelli, 1974);
"Visto dall’interno" (Garzanti, 1981);
"Storia naturale del ricercatore" (Garzanti 1985);
"La rielezione" (Sellerio, 1996);
"Il fuoriuscito" (Sironi, 2005).

Si è trattato di un lungo percorso di rielaborazione - iniziato a giugno del 2020 - di un materiale letterariamente disomogeneo, dalla forte componente autobiografica e dove taluni episodi e personaggi vengono ripresi, trasfigurandoli, anche a distanza di decenni. Si è tenuta come faro e criterio, per la selezione e costruzione dei brani, l'ossessione pedagogica dell'autore nel voler trasmettere ai non specialisti gli snodi cruciali dell'evoluzione dei punti di vista scientifici intorno al 'gran flagello del cancro', mettendo in evidenza il groviglio di interessi che da sempre, in quest'ambito, connette ricerca, politica, industra e società.

Renzo Tomatis è stato un importante ricercatore sperimentale biomedico italiano nel campo della cancerogenesi chimica e, in particolar modo, nel settore dell’identificazione delle cause ambientali e professionali del cancro.

Dopo essere entrato allo IARC di Lione, cioè l’Agenzia dell’Organizzazione Mondiale della Sanità per la ricerca sui tumori, come responsabile dell'unità di cancerogenesi chimica, nel 1967, Tomatis ne è stato direttore generale dal 1982 al 1993. Sua è stata l’idea delle ‘monografie’ (chiamate ‘libri arancioni’, per il colore della copertina), che tuttora costituiscono una delle principali referenze al mondo per la valutazione e la conoscenza del rischio cancerogeno legato alle sostanze chimiche.

Il ‘principio di precauzione’ (secondo il quale, in mancanza di dati epidemiologici, se una sostanza causa tumori negli animali da esperimento, va trattata come se fosse cancerogena per l’uomo ...), che le monografie IARC hanno posto all’attenzione dei legislatori di tutto il mondo dalla seconda metà degli anni ’70, soprattutto grazie all’impegno di Tomatis; ha rappresentato uno dei capisaldi nelle politiche di prevenzione primaria in campo oncologico.

I romanzi di Tomatis offrono uno sguardo unico sulla storia dell'oncologia, sulla politica della ricerca e sulle sue interconnessioni, non sempre esenti da conflitti di interesse, in un settore chiave per la biomedicina e la sanità pubblica come è quello del cancro.

Grande organizzatore (forse anche suo malgrado, e in questo in lui fu sempre vivo un certo conflitto), Renzo Tomatis è stato anche, nell'ambito della scienza 'pura', tra i primi al mondo a intuire l'importanza, in campo oncologico, degli studi sulla cancerogenesi transplacentare e transgenerazionale. Cominciando a parlare apertamente del ruolo procancerogeno delle alterazioni epigenetiche nella programmazione dei tessuti e degli organi; alterazioni dovute all'esposizione perinatale a sostanze chimiche e agenti esogeni in grado di agire, ad esempio, come interferenti endocrini.

Oltre a schierarsi a fianco di quanti iniziavano a inserire anche i tumori nel quadro della teoria della DOHaD (Developmental Origins of Health and Disease), Tomatis indicò anche - correttamente - nel fenomeno del cd. 'imprinting genomico' un possibile schema mediante il quale alterazioni epigenetiche prodotte in un organismo dall'esposizione materno fetale a sostanze chimiche o altri contaminanti possono trasmettersi alle successive generazioni.

credits

released February 26, 2021

La voce, negli album, è quella di Gabriele Argazzi.
Le registrazioni e l'editing audio sono stati realizzati tra novembre 2020 e febbraio 2021.

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L'aquila Signorina Bologna, Italy

L'aquila Signorina, dal 1995, sono Gabriele Argazzi e Barbara Bonora. Negli ultimi quindici anni hanno legato il loro lavoro come attori, registi e drammaturghi alla storia della scienza. Accanto alla messa in scena di bioplay su scienziati e scienziate, Le Signorine hanno di recente iniziato a immaginare e produrre percorsi audiologici all'incrocio fra letteratura, società è tecnoscienza. ... more

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